In arrivo la stretta Ue sugli slogan verdi con il rischio di sanzioni
Secondo la direttiva in discussione le imprese dovranno ottenere una certificazione di conformità sull’attendibilità delle asserzioni
di Natalia Bagnato
Con l’aumento della sensibilità dei consumatori verso prodotti sostenibili si moltiplicano anche le misure contro l’utilizzo fuorviante di termini green da parte delle imprese. Stiamo parlando delle pratiche commerciali scorrette messe in atto dalle imprese per dare una falsa rappresentazione ai consumatori circa gli impatti ambientali dei propri prodotti o attività (il cosiddetto greenwashing).
Riforma in due tappe
L’entità del fenomeno è comprovata: uno studio della Commissione europea del 2020 (“Environmental claims in the Eu: Inventory and Reliability assesment”) ha rilevato che il 53% delle affermazioni di carattere ambientale fatte dalle imprese, le cosiddette asserzioni ambientali, forniscono informazioni vaghe, ingannevoli o infondate e che il 40% delle stesse sono totalmente sfornite di prove. Alla luce di tali risultanze, la Commissione ha adottato una politica di contrasto al fenomeno del greenwashing, sviluppata nel solco delle normative in materia di tutela dei consumatori e della concorrenza. In particolare, si segnala la direttiva Ue 2024/825, adottata il 6 marzo 2024, e la proposta di direttiva sui green claims, ad oggi ancora in corso di adozione.
La direttiva Ue 2024/825 sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde – che dovrà essere recepita dagli Stati Membri entro il 27 marzo 2026 e troverà applicazione a partire dal 27 settembre 2026 – da un lato inquadra il greenwashing quale pratica commerciale sleale e, dall’altro, proibisce l’utilizzo di asserzioni ambientali generiche positive in mancanza di un’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali. Ciò significa che le dichiarazioni delle imprese dovranno essere dimostrabili mediante la conformità a specifici standard normativi o a un sistema di assegnazione di marchi di qualità ecologica ufficialmente riconosciuto all’interno dell’Unione. Pertanto, per evitare pratiche commerciali ingannevoli, le imprese potranno utilizzare asserzioni ambientali specifiche e dimostrabili.
È importante, inoltre, segnalare la proposta di direttiva sull’attestazione e sulla comunicazione delle asserzioni ambientali esplicite (direttiva Green claims) che, in linea con la strategia dell’Unione per combattere il greenwashing, si focalizza sulla credibilità e comunicabilità delle informazioni. In particolare, con riferimento alle dichiarazioni ambientali volontarie, la proposta stabilisce che le imprese dovranno garantire che tali affermazioni siano supportate da prove scientifiche affidabili e da un’analisi completa del ciclo di vita del prodotto. Le stesse imprese dovranno quindi munirsi di una certificazione di conformità, rilasciata da un organismo terzo e indipendente, riguardante l’attendibilità delle asserzioni ambientali.
Criteri specifici
In materia di certificazione di conformità, la Commissione sarà l’organo tenuto ad adottare una serie di linee guida per definire procedimenti semplici per garantire maggiore uniformità e comprensibilità di tali certificazioni. La proposta mira, inoltre, a introdurre criteri specifici per l’utilizzo di asserzioni ambientali comparative e a rafforzare le garanzie per migliorare i sistemi di assegnazione dei marchi di qualità ecologica.
La stessa proposta richiede agli Stati Membri di designare un’Autorità competente incaricata di assicurare la corretta applicazione delle norme. All’Autorità designata dovranno essere assegnati poteri di indagine incisivi, tra i quali, il potere di richiedere alle imprese di presentare integrazioni documentali rispetto a quanto dichiarato e di sanzionare eventuali inadempimenti. Infatti, vengono previste sanzioni sotto forma di multe, confische dei proventi percepiti dalla vendita dei prodotti interessati ed esclusione temporanea dalle procedure di appalto pubblico. Per determinare l’entità delle sanzioni (il cui importo massimo dovrà essere pari ad almeno il 4% del fatturato annuo) dovranno essere presi in considerazione vari fattori, come la natura, la gravità e la durata della violazione, la capacità finanziaria del responsabile, nonché i benefici economici conseguiti dall’impresa.
Oltreoceano si era già corso ai ripari contro il fenomeno del greenwashing: la Federal Trade Commission statunitense ha infatti di recente aggiornato le Green Guides, linee guida (non vincolanti) che stabiliscono criteri uniformi per l’utilizzo di termini come riciclabile e biodegradabile, con l’obiettivo di proteggere i consumatori e promuovere pratiche commerciali leali.
Nella Ue, intanto, in attesa del recepimento della direttiva 2024/825 e dell’approvazione di quella sui green claims, le imprese oggi più che mai devono prestare attenzione a non incorrere in pratiche di greenwashing. I tribunali e le Autorità nazionali garanti della concorrenza e del mercato sono ancora più sensibili a tale tematica anche in considerazione dell’emergente framework normativo europeo. In Italia, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm) ha avuto a più riprese modo di sottolineare il proprio impegno al contrasto all’uso da parte delle imprese di asserzioni ambientali false o fuorvianti, da ultimo reiterato nella sua relazione annuale per il 2023.
Fonte: IlSole24Ore